C’è sempre il rischio di finire nell’Amarcord piagnucoloso con la fragranza stantia del borotalco, ma l’ingorgo di ricorrenze qualche recupero e qualche riflessione la suggerisce. L’11 maggio del 1974 è un sabato come oggi. Massimiliano è un ragazzino di sette anni. Quando si oltrepassava l’intervallo di tempo tra un compleanno e l’altro, almeno allora all’età si aggiungeva: e mezzo. Che conferiva quel non so che di esibita maturità. A chi gli chieda quanti anni ha, in quel maggio 1974 Massimiliano risponde: sette e mezzo. In realtà a quel punto sono quasi otto: questione di settimane.
In casa Milleluci, con Mina e Raffaella Carrà, si è visto puntualmente ogni sabato sera dal 16 marzo in cui ha debuttato. I programmi televisivi non sono ancora a misura di Baudo: la durata di ogni puntata non supera i settanta minuti e quando il programma sembra ancora appena iniziato scattano puntualmente i titoli di coda, con Mina che intona Non gioco più. Le atmosfere rarefatte, il tema da grandi, l’immagine retro della stessa interprete, le caratteristiche melodiche del brano: tutto questo fa di quella canzone qualcosa di non così facilmente accessibile per un ragazzino di sette anni e mezzo. Quasi otto, d’accordo. Non gioco più non riesce ad esercitare certo la stessa virulenta presa immediata che nell’autunno precedente aveva invece prodotto l’ascolto di Canzone intelligente di Cochi e Renato. Massimiliano ha canticchiato lo sciocco in blu con i suoi compagni di classe per tutto l’anno scolastico. Si è avventurato perfino in qualche intervento parodico dei versi per adattarla a situazioni più personali. Qua invece, per un ragazzino ottènne degli anni Settanta, si ingenera una leggera soggezione. Eppure c’è qualche traccia di Non gioco più che si insinua pervasivamente nei pensieri di Massimiliano. Mina a un certo punto dice: La vita è un letto sfatto, ed è un’immagine che scuote. C’è il rischio che confermi quello che Massimilano, per mille anche innocenti motivi, sospetta già da qualche tempo: che sotto molta apparenza di solido ordine ci sia una devastazione incontrollata. E poi c’è quell’altro verso: Io cambio e chi non cambia resta là. E anche se Massimiliano adora le automobiline, dubita fortemente che si stia parlando di scalare marcia.
Il giorno dopo è ovviamente domenica: il 12 maggio 1974. Si vota per il referendum più famoso della storia referendaria italiana. A casa da mesi si ironizza sulla formula adottata per quel referendum: che è in realtà la formula imposta dalla funzione solo abrogativa dell’istituto referendario. Per dirla facilmente chi vota No vuole il divorzio e chi vota Sì non lo vuole: con un innegabile sottofondo di contraddizione concettuale. Lo determina il semplice fatto che il referendum è stato promosso da coloro che vogliono abolire la legge Fortuna-Baslini che ha istituito il divorzio nel 1970 e il quesito suona quindi più o meno così: volete voi abrogare ecc. I genitori di Massimiliano voteranno convintamente No perché vogliono conservare la legge. Ma la vita è un letto sfatto: ha detto Mina. A scuola, la ragazzina per la quale il cuore di Massimiliano batte più forte ha spiegato che in casa da lei il nonno paterno e quello materno hanno addirittura aperto una disputa e l’hanno tradotta in scommessa. L’uno sostiene che il referendum rivelerà più dell’80% di Sì, l’altro invece che il Sì non andrà oltre il 60%. La ragazzina alla cui vista il cuore di Massimiliano marcia più spedito lo spiega ovviamente senza una coloritura ideologica, ma lo dice come se fosse la cosa più normale e condivisa del mondo. Da allora peraltro Massimiliano si chiede che espressione avranno avuto i due nonni alla lettura dei risultati definitivi del referendum. L’Italia di quel maggio 1974 è molto polarizzata. O si sta da una parte o si sta dall’altra. Perfino a scuola, quelli che vanno al mare in una località del Tirreno non vedono di buon occhio quelli che invece vanno nelle località dell’Adriatico. E quello strabismo di vedute tra quanto si sostiene a casa di Massimiliano e quanto invece dicono a casa della ragazzina del cuore diventa improvvisamente un problema. Insomma: si è materializzato il letto sfatto. Con Cochi e Renato era più facile: anche se forse solo in apparenza. In un letto sfatto difficilmente si fanno bei sogni. E chi non cambia, e non ha nessuna intenzione di farlo, difficilmente si accontenta di restare là. Le settimane successive di quel maggio 1974 e poi l’estate ce lo spiegarono con tragico fragore. Ma ne parliamo in un altro post.
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