Il progresso è la chiave di volta dell’umanità: prestare attenzione alle esigenze del pianeta che abitiamo, e quindi sviluppare una coscienza ambientalista, è professione laica e non deve coincidere con la condivisione di millenarismi apocalittici
Si scrive Ever Given, si legge Titanic. In un articolo a firma di Massimo Nava, uscito sulle pagine de Il Corriere della Sera del 29 marzo, sembra prospettarsi proprio questa possibilità: ovvero che l’incagliamento dell’immensa nave portacontainer che ha ostruito il canale di Suez nell’ultima settimana di marzo decreti la fine di un’idea di progresso come avvenne con il naufragio del Titanic (che, non a caso, per alcuni storici, ancora di più che lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, segnò il tramonto della Belle Époque e del sogno positivista che le aveva fatto da sostegno ideologico). Sgombriamo il campo da equivoci: l’autore dell’articolo non formula precisamente questo parallelismo, ma i toni complessivi del testo attraverso la lente d’ingrandimento dell’incidente di Suez condannano quell’idea ambiziosa di progresso che oggi sconta la grandezza eccessiva di questa ambizione. Sulle considerazioni di Nava – qui riportate testualmente in corsivo – ho molte riserve e, per quanto mi sforzi di non aderire all’immagine, mi sembrano evocare il flagellante che dispensa severe frustate sulla propria schiena. Questo neanche troppo velato mea culpa contenuto nell’articolo è ulteriormente amplificato dal riferimento al Covid 19, definito, al pari dell’incidente di Ever Given, un altro drammatico simbolo della fragilità del nostro mondo globalizzato.
Quella sensibilità ambientalista che abbiamo elaborato e assimilato nel tempo (non mi addentro nel dato statistico relativo a quanti davvero l’avrebbero assimilata) ci dice chiaramente che occorre prestare maggiore attenzione al rapporto che intratteniamo con il pianeta che ci ospita. Anzi, ci dice che è certamente un’esigenza prioritaria perché non c’è davvero tempo da perdere. Ma, a mio personale avviso, non deve mai indurre a recriminare sul fatto che il progresso sia la chiave di volta dell’umanità. Se, come ricorda Massimo Nava, il canale di Suez fu immaginato per la prima volta da Napoleone Bonaparte sicuramente in funzione militare (quantomeno nell’immediato), al momento della sua realizzazione rappresentava invece già una via commerciale di importanza fondamentale: un ruolo che il canale conserva anche nel 2021 poiché, come conferma anche l’autore dell’articolo, attualmente da lì transita il 10% del traffico marittimo mondiale. Non so quante Ferrari abbiano viaggiato nei container della Ever Given dal suo varo nel 2018, e neppure quante tonnellate di spaghetti e penne rigate. Il fatto è, però, che da quella via d’acqua e con quelle imbarcazioni monumentali transitano dai porti europei a quelli asiatici (e viceversa: la Ever Given proveniva dalla Malaysia e dirigeva verso Rotterdam) prodotti che ci servono quotidianamente e sulla cui produzione e disponibilità fondiamo la nostra economia e quindi la qualità della nostra vita. Nostra, come genere umano, intendo. Sentir parlare di Ever Given come di metafora di un gigantismo insensato, rispetto alle possibilità del contesto naturale e organizzativo (cito testualmente dall’articolo di Nava) al vecchio inguaribile laico illuminista che è in me suscita oggettivamente lo stesso prurito della storia della Torre di Babele. Anzi, se volessimo aumentare il lavoro degli accademici della Crusca, potremmo anche coniare il termine torrebabelismo per definire il sentimento di condanna di tutto quello che è aspirazione a raggiungere un traguardo più lontano. Sarà banale, ma progresso, a mio avviso, significa, pur dopo aver sviluppato flotte aree faraoniche per decenni sottovalutando l’effetto del kerosene in alta quota, comprendere come spostare da un angolo all’altro del mondo gli stessi passeggeri (e magari anche di più) senza sottoporre i cieli del mondo a dannose polluzioni, non certo instillare sensi di colpa dal taglio millenaristico in turisti, compagnie aeree e ingegneri aeronautici e, deprecando il globalismo, quasi invitare a chiudersi ciascuno nel proprio guscio invece di sognare di andare in vacanza a gennaio in un’isola tropicale. Vogliamo, sì, evitare che navi grandi come grattacieli scorrazzino liberamente nel canale della Giudecca, ma non certo che di quelle navi si decreti lo smantellamento! Altrimenti, se non siamo proprio al penitenziagite, poco ci manca.
(La foto di copertina è uno scatto di Kees Torn che ritrae Ever Given nel porto di Rotterdam)
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