James Levine è morto. Viva James Levine. Malgrado tutto. Anzi, malgrado il ‘tutto bianco’ o il ‘tutto nero’ che si dirà nei secoli dei secoli
Oggi l’homepage dei quotidiani online, anche se comprensibilmente dopo le notizie sulla situazione del contagio del Covid e sulle dispute intorno ai vaccini contro il Covid, mi rimanda la notizia della morte di James Levine, settantasettenne direttore d’orchestra di chiarissima fama internazionale. Chiarissima, sì, quantomeno fino a quando nel 2018 nei confronti del direttore d’orchestra di Cincinnati non si innescò una dirompente serie di accuse per abusi sessuali che Levine avrebbe perpetrato principalmente negli anni Ottanta. Quella fama che, appunto chiarissima, fino a quel momento aveva circonfuso la figura di James ‘Jimmy’ Levine, in breve si dissolse e precipitò l’artista nell’inevitabile discredito e nella condanna unanime per la sua riprovevole condotta. Peraltro il Parkinson frattanto ne stava minando selvaggiamente la salute, pertanto l’eclissi della sua figura per i guai giudiziari ha finito per coincidere con un altrettanto inevitabile ritiro dalla scena per motivi di salute.
Per la mia storia di appassionato di musica, James Levine è l’artefice di uno spettacolo straordinario che si è svolto a Salisburgo in una sera di agosto del 2002. Con la Boston Symphony Orchestra, il maestro di Cincinnati quella sera diresse la Sesta sinfonia di Gustav Mahler. Come ho l’abitudine di dire, mi reputo soltanto un fruitore/ascoltatore di musica e certamente non un tecnico in senso stretto, ma Mahler è in assoluto uno dei miei autori preferiti e quindi posso confessare, senza il rischio di peccare di presunzione, che vari passaggi delle sinfonie preferite dell’autore austriaco le conosco quasi a memoria. A orecchio, s’intende. A quell’epoca le mie bacchette-feticcio a proposito di Mahler erano Bruno Walter, Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Christoph Eschenbach e affrontai quel Mahler ‘americano’ di James Levine e della Boston Symphony con curiosità e attesa. Anche se, tanto per mettere tutte le cose al loro posto, ‘Jimmy’ Levine è stato un direttore che si è formato ed è cresciuto proprio nell’alveo di quella tradizione europea espressa dai maestri che ho menzionato e pertanto lui e Mahler non si presentavano certo come il diavolo e l’acqua santa. In alcune persone che assistettero a quel concerto la lettura della Sesta di Mahler da parte di James ‘Jimmy’ Levine suscitò perplessità. Forse per quell’inevitabile snobismo che è un portato inesorabile di ogni ambiente, al direttore di Cincinnati la critica europea rimproverava di andare a cercare l’effetto – lo sottolineano puntualmente gli estensori degli articoli che stanno circolando anche oggi sui giornali – e di essere a suo modo commerciale.
A me invece piacque moltissimo quella Sesta di Mahler di ‘Jimmy’ Levine. Nelle conversazioni con gli amici di allora (appunto non tutti così entusiasti di quella lettura) la chiamai una Sesta ‘jazz’. Non che un direttore d’orchestra possa ovviamente permettersi di aggiungere di sana pianta a una partitura un giro improvvisato di tre minuti di oboe e clarinetto, oppure possa estendere a piacere il ruolo degli archi imponendo magari due o tre ripetizioni variate! Era piuttosto la capacità di ‘illuminare’ alcuni strumenti invece di altri, rigorosamente all’interno della partitura e dei suoi tempi, che mi suggerì quella definizione. La ricordo come una esecuzione emozionante per una pagina di musica che del resto mi ha sempre toccato emotivamente in modo fortissimo. C’è un dettaglio di quella sera che ritenni incorniciare perfettamente l’evento. Nella fila davanti alla mia era seduta una coppia. A un certo punto – non ricordo chi fu a fare il primo passo – la mano di uno andò a cercare la mano dell’altra (o viceversa) e la strinse forte. Si immagina sempre che serva il conforto di un’altra persona soltanto quando il nostro aereo affronta una turbolenza straordinaria e inattesa a diecimila metri di quota (tanto per dire di un episodio in sé banale, ma negativo) e invece evidentemente anche le turbolenze positive del cuore sono una materia ben difficile da gestire senza sostegno.
Tutto questo che ha esattamente a che fare con la definizione di spregevole bellezza?
Presto detto.
‘Jimmy’ Levine è stato quello straordinario prestigiatore musicale che in una occasione a cui ho assistito è riuscito ad estrarre ardite atmosfere jazz da una sinfonia di Mahler ed è stato in grado di regalare all’appassionato ottanta minuti (è la durata complessiva della Sesta) di irraggiungibile bellezza e magari ha fatto fremere in un acquario di liquide emozioni dai molti colori una coppia che ascoltava la sua interpretazione. Ma ‘Jimmy’ Levine è anche l’equivoco personaggio a carico del quale si sono susseguite pesanti accuse di coercizione sessuale da parte di alcuni uomini (all’epoca dei fatti anche minorenni) che hanno composto, a vario titolo, le orchestre dirette dal maestro di Cincinnati. La pagina in inglese che Wikipedia dedica a Levine riporta dettagliatamente le situazioni che hanno determinato la messa in stato di accusa per l’artista dell’Ohio ed è fuori discussione che si tratta di azioni penalmente perseguibili in cui all’abuso sessuale sembra aggiungersi anche l’abuso di autorità (per l’età dei soggetti coinvolti e per il ruolo subordinato degli stessi).
Che fare allora di James ‘Jimmy’ Levine: rimuovere dalla memoria emotiva tutte le suggestioni che avrà trasmesso a me e a molti altri quella sera di agosto a Salisburgo? Cancellare, distruggere, negare tutte quelle emozioni che il maestro americano avrà dispensato in mille altre occasioni nella sua carriera tra concerti sinfonici e opere?
Si può fare. Ma mi permetto di dire che farebbe davvero ridere.
Adesso parlo per me. Poi, ciascuno farà i suoi conti.
Ho sempre avvertito una sorta di petrarchismo manicheo nel giudizio sulle grandi figure dell’arte, della scienza, del pensiero e così via. (A proposito: il mio legale è già stato allertato dell’eventualità molto probabile delle querele di Francesco Petrarca e dei Manichei.) In base a quel giudizio, il genio (passatemi il termine per semplicità descrittiva) è sempre biondo, bello e di gentile aspetto, per dirla con il poeta. (Non quello della foto sotto, però.) E se proprio platealmente non è in quel modo, si finge di non saperlo.
Molti anni fa uno dei miei analisti, quando in una seduta la nostra conversazione andò a coinvolgere Giacomo Leopardi, sottolineò che non dovrebbe inficiare minimamente la grandezza de L’infinito il fatto che al poeta di Recanati (che, pare da vari riscontri, non era proprio un cultore sfegatato dell’igiene personale) notoriamente puzzassero i piedi.
A questo punto la questione finisce per essere quindi davvero tutta sintetizzata dal rapporto che vogliamo istituire con Leopardi e con l’eventuale effluvio delle sue estremità inferiori.
Premesso naturalmente che l’idiosincrasia per la doccia purtroppo non si configura come reato penalmente perseguibile, prendiamo qualche altro esempio.
Quel determinato attore è stato inarrivabile in alcuni suoi film. Ma in parallelo ha imposto prestazioni sessuali a qualche giovane collega con la prospettiva di agevolazioni professionali.
Quel calciatore, tra un match e un altro, ha invece stuprato una cameriera dell’albergo in cui occupava nientemeno che la suite presidenziale.
Quel giornalista che ha insegnato tecnica d’indagine e stile a generazioni di reporter è poi lo stesso che senza scrupolo comprava ragazzine con lo scopo di farne trastulli sessuali di una mezza giornata.
E quel direttore d’orchestra che ci ha condotto alle lacrime quella volta con la Sesta di Mahler..? Vuoi dire che è lo stesso che numerosi giovani allievi hanno accusato di atti di coercizione sessuale?
Con buona pace del petrarchismo manicheo, la storia sta proprio così. Viene in mente: né puttane, né madonne. E mi si permetta di decontestualizzare totalmente lo slogan e forzarne naturalmente anche i contenuti. Ma in sostanza l’invocazione è la stessa. Come nel nostro quotidiano, nelle medesime persone, possiamo vedere altezze incommensurabili e abissi di meschinità, nello stesso modo si deve prendere atto che qualunque essere umano è un sacco di cose insieme e in quel calciatore può convivere il genio dell’atleta che primeggia assolutamente nel suo spazio espressivo ma anche lo stupratore, in quell’attore l’interprete ineguagliabile di tanti ruoli e anche il fruitore di sesso che si avvale della possibilità di costringere con il ricatto, in quel direttore d’orchestra un’anima sensibilissima e capace di altezze vertiginose nella sua arte ma anche l’individuo che per soddisfare il prurito del momento non esita a far valere il suo ruolo gerarchico.
Al solito una precisazione si impone per prevenire letture distorte di quello che sto affermando. Se su un versante un fenomeno non pregiudica l’altro, è valido però anche il contrario. Se cioè non posso certo dire che ‘Jimmy’ Levine è sempre stato una ciofeca di direttore d’orchestra, dopo aver affermato energicamente il contrario per anni, soltanto perché frattanto è stato implicato in quello che sappiamo, nello stesso modo i suoi reati non possono risultare neppure minimamente ridimensionati dal suo valore come artista. Saper scrivere reportage accuratissimi o romanzi immortali, dirigere magistralmente sinfonie, realizzare gol che restano negli annali del calcio mondiale non sono passaporti diplomatici che esentano i loro autori dal rispetto della legge.
Una precisazione nella precisazione (doverosa in questo Seicento vestito da Duemila nel quale viviamo): con l’aiuto del corsivo ho parlato espressamente di reati perché, in tutte le situazioni evocate, intendo esclusivamente quello che va fattualmente contro la legge e naturalmente non di cosa piace a chi. E ci siamo intesi, spero.
A me è sempre piaciuto moltissimo lo slogan: né puttane, né madonne. Che deve suonare invece letteralmente come una bestemmia per i petrarchisti manichei. E forse per quello nel profondo, incomprensibile quanto volete, mi scandalizza pochissimo che personalità e pulsioni così diverse possano convivere nella stessa persona.
Petrarchisti manichei, vi prego di rassegnarvi! Fatevene una ragione: la bellezza può essere spregevole!
(Lo spartito dell’immagine di apertura riproduce un passaggio della Sesta sinfonia di Gustav Mahler)
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