La discografia di A.G. – il protagonista del mio romanzo Lutti agli Achei – è inevitabilmente anche la mia e “Velasquez” di Roberto Vecchioni è una canzone di grande significato per entrambi
Supporre un lapsus di questo genere in Roberto Vecchioni mi sembra troppo. Quand’anche fosse stato distratto e abbagliato solo per un attimo dalle luci di San Siro, il professor Vecchioni una svista così non se la concederebbe mai! Magari ad A.G. invece l’associazione tra Velasca e Velasquez è venuta in mente. Lui che non disdegna di imitare la sua analista viennese in fatto di libere associazioni, aggirandosi a Milano tra Piazza Missori e Piazza Diaz in attesa di un incontro determinante per le sue indagini, alzando gli occhi deve essersi certamente soffermato a guardare le linee brutali della Torre Velasca. E da Velasca a Velasquez, il passo è freudianamente breve… A.G. (potrei chiamarlo il Signor G. ma sarebbe un altro cortocircuito milanese/musicale che ci porterebbe troppo lontano…) ha 45 anni nel 2022 e deve aver ascoltato quella canzone di Roberto Vecchioni da ragazzino, quando quel brano era in circolazione già da qualche anno: Velasquez esce nel 1976 nell’album Elisir. Quasi otto minuti di canzone in cui le prime parole risuonano addirittura dopo un minuto e mezzo di intro. Non so nel caso di A.G. (chiedeteglielo…), ma nel Massimiliano decenne quella è stata una rivelazione. Chi ha vissuto quegli anni ricorderà che Velasquez, malgrado il taglio irrituale (certamente lunga per gli standard tradizionali, con il primo verso del testo – Ahi Velasquez, dove porti la mia vita? – che iniziava dopo quel lungo magnetico preambolo quando in altri casi, a quel punto, si sarebbe già stati a metà canzone) circolava eccome nelle radio! E poiché allora lo showbiz fagocitava con meno frenesia il prodotto artistico, si sarebbe ascoltata ancora per anni.
Il professor Vecchioni ha sempre saputo attribuire grande potenza evocativa alle parole: e qui per il sottoscritto riesce a farlo in maniera magistrale. In Velasquez c’è poi una una linea melodica e un arrangiamento che anche a quasi quarantacinque anni dall’uscita non perde un’oncia di fascino. Un’oncia di fascino… Credo che neppure Velasquez oserebbe oggi dirlo o quantomeno scriverlo nel proprio blog. Del testo, due o tre passaggi in particolare devono aver certamente affascinato A.G. oltre all’intro sinfonica che apre subito sconfinati oceani davanti allo sguardo dell’ascoltatore (il Velasquez della canzone, come da spiegazione degli esegeti, è Diego Velazquez de Cuellar: navigatore spagnolo del Quattrocento). E sono gli stessi passaggi che scatenano suggestioni adolescenziali perfino oggi anche in Massimiliano. E la tempesta ci sorprese/due miglia dopo Capo Horn: canta il narratore Vecchioni. Ma le tempeste proverbialmente devastanti di Capo Horn (più o meno metaforiche) non possono certo impensierire quel navigatore che è morto mille volte senza mai morire. Il motivo per il quale Velasquez naviga incessantemente percorrendo in lungo e in largo gli oceani del mondo è presto detto: in mezzo ai venti sempre genti da salvare. Ma Velasquez ha anche un’altra missione. Quando il narratore/Vecchioni confessa a Velasquez che qualche sera (in quell’ora che da secoli, come dice il poeta, intenerisce il cuore ai naviganti) vorrebbe fermare la vela e ritornare da sua moglie, il navigatore dice perentorio: Fatti scrivere. Perché per lui è normale: per te bisogna sempre scrivere e lottare, possibilmente con quella chitarra usata come spada di qualche verso più avanti. C’è poi un’altra figura di questa canzone che nel Massimiliano decenne (e oltre) ha esercitato un fascino irresistibile: il vecchio zingaro ungherese che spiega ancora più dettagliatamente la longevità incurante dei pericoli di Velasquez. Quel vecchio zingaro ungherese mi ha frullato nella testa per anni e forse, con le debite evoluzioni, si è trasformato in Emmerich. Della canzone Velasquez di Roberto Vecchioni pubblico qui la versione originale dell’album del 1976 con quella copertina, tra l’antico e il moderno, che evoca il gioco dell’oca. A.G. mi perdonerà – spero – se ho rivelato qualcosa di lui che nel romanzo non si dice…
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