Chi apprezzava la promettente new wave italiana all’inizio degli anni Ottanta, se la ricorda senz’altro. A Berlino… Va bene è stata una popolarissima canzone di Garbo che nel tempo è stata riproposta dal suo autore e interprete – al secolo: Renato Abate – in versioni talvolta molto diverse dall’originale, ma sempre altrettanto suggestive. Come spesso accade, anche in questo caso il refrain della canzone ha letteralmente fagocitato il titolo, tant’è che si crede che la domanda che Garbo si pone incessantemente nel corso del brano (A Berlino che giorno è?) sia di fatto il titolo della canzone.
L’Aquila Cieca si apre a Berlino. Anche se poi, nel corso della vicenda, la capitale tedesca non svolge proprio un ruolo centrale, tant’è che già nella sua prima parte il romanzo si mette a girovagare vorticosamente (e i suoi personaggi con esso) per molte altre celebri località d’Europa.
Nei primi capitoli del romanzo, però, (quantomeno in quelli dispari: e al lettore apparirà poi subito chiaro il motivo di questa precisa distinzione) Berlino c’è. Eccome, se c’è! Non una quinta di legno e stoffa. Non una Berlino immaginaria, intendo. La protagonista, Silvana Salieri, nel primo capitolo è seduta ad un tavolo di un ristorante georgiano. A Charlottenburg c’è davvero un ristorante georgiano, che ho frequentato più volte e che ha proprio tutte le caratteristiche di quello descritto. Soltanto il nome è diverso. Quello del mio romanzo ha un nome più evocativo: Il cerchio di gesso del Caucaso. Come l’omonimo dramma di Bertolt Brecht. Anche l’albergo in cui alloggia Silvana esiste davvero: in quella collocazione immaginata nel romanzo, intendo. E dalle sue finestre si vede distintamente la torre di Alexanderplatz. Quando poi Silvana decide di destinare alcune ore a riflettere sul nuovo taglio da dare alla sua vita e al suo lavoro, va a sedersi a un tavolo del Berliner Republik, uno kneipe – per dirla alla tedesca – che ha davvero quel nome nei pressi della stazione Friedrichstrasse e del Berliner Ensemble che fu il teatro di Brecht.
A Berlino, dunque, che giorno è? Che giorno sia a Berlino, nei fatti ce lo ha fatto capire recentemente con brutale realismo l’attentato di Breitscheidplatz.
Ben altro presente, quello del 2016 di Breitscheidplatz, rispetto ai versi della canzone di Garbo che fotografavano una città sospesa che negli anni Ottanta viveva ancora tutte le contraddizioni dei precedenti quaranta anni. Anche Silvana, attraverso le suggestioni di una canzone di Sting, evoca il suo primo approccio con quella Berlino degli anni Ottanta. Quando, come dice proprio Silvana, per vedere la Porta di Brandeburgo, che costituiva la “terra di nessuno” tra l’Ovest e l’Est, si doveva salire su di una piattaforma di legno e accontentarsi di una foto in cui si insinuavano, inevitabilmente sgarbati, i reticolati del Muro.
Dic
24
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