Lavorando alla trama di Emmerich, ho compiuto il sopralluogo al castello di Orava proprio in una luminosa giornata di sole del dicembre di dieci anni fa. Emmerich Thököly avrebbe detto e scritto: Arva, all’ungherese. È per “politesse” geografico-politica che qui scrivo: Orava, rispettando l’attuale denominazione della località della Slovacchia. Ma non posso negare di trovare alquanto più suggestivo dirlo alla maniera di Emmerich. D’altronde, anche lui, nella sua esistenza travagliata e avventurosa, non si è sottratto a qualche vistosa contraddizione. A partire dalla scelta del proprio nome di battesimo: considerando che lui preferì sempre utilizzare la versione tedesca (Emmerich, appunto) del suo nome ungherese: Imre.
Arva (oppure: Orava, se preferite e se non volete rischiare di scatenare un caso diplomatico) non è il luogo di nascita di Emmerich Thököly. Emmerich è nato infatti il 25 aprile del 1657 nel castello che la famiglia Thököly possedeva a Késmárk (una località ai piedi dei monti Tatra, ancora in Slovacchia, che oggi si chiama Kežmarok). Ma a Arva si è consumato uno degli episodi che hanno segnato per sempre il destino e la vita di Emmerich. È infatti proprio nel castello di Arva che il padre di Emmerich, Istvan Thököly, si era asserragliato nell’autunno del 1670 con i propri fedelissimi, incalzato dalle truppe che l’imperatore Leopoldo d’Asburgo aveva inviato in risposta alle intenzioni secessioniste dello stesso principe ungherese.
Arva, con il suo fosco e lugubre aspetto da castello della Mitteleuropa, è il teatro di una serie di episodi-chiave del romanzo e non è dunque opportuno anticipare più di tanto in questa sede a quali vicende farà da scenario quella rocca bruna ai piedi dei monti Carpazi. Vale la pena, però, ricordare che il castello di Orava è stato scelto nel 1922 dal regista Friedrich Murnau quale sede di molte scene in esterno del film Nosferatu: progenitore di tanta filmografia horror dei successivi decenni.
Questa (pre)destinazione del castello di Arva a set di film horror, naturalmente inimmaginabile, per mille motivi, ai tempi di Emmerich, mi ha sicuramente un po’ condizionato nel costruire tutte le sequenze che nel romanzo sono ambientate alla tetra rocca della Slovacchia. In quella fredda giornata di sole del dicembre di dieci anni fa ho avuto la possibilità di compiere la visita di tutta la struttura di Orava non da turista – perché in quel periodo il castello era chiuso al pubblico – ma da vero e proprio ospite di Emmerich, in compagnia di alcuni addetti alla custodia e alla conservazione del monumento. Dalla cosiddetta “cittadella” – al più alto livello del castello – con la sua scala vertiginosa abbarbicata alla roccia, fino ai sotterranei, passando per la sala d’armi. Tutti ambienti che nel romanzo si rintracciano efficacemente e non rappresentano un’anonima quinta degli episodi, ma partecipano con suoni, colori, suggestioni emotive alla vicenda. Prima della visita, nelle mie intenzioni, il castello di Orava avrebbe dovuto apparire al massimo in un paio di capitoli. In realtà il castello è invece presente in una lunghissima sequenza di avvenimenti e percorre, anche se non menzionato direttamente, molte altre pagine. Devo ancora capire se su Emmerich, frattanto, ha prevalso proprio Nosferatu…
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